Roma, 1 gennaio 2024 – Solennità della Madre di Dio – “Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore”.

Il santo viaggio dei pastori. Il Vangelo di questo primo giorno dell’anno dedicato alla Madre di Dio ci narra l’evento della nascita di Gesù dal suo primo giorno all’ottavo: dal suo venire alla luce nella grotta dei prati di Betlemme, alla sua circoncisione, nel Tempio di Gerusalemme.

La prima scena inizia col santo viaggio dei pastori. Dispersi nella campagna, essi si muovono insieme verso Betlemme, per trovare il Messia. Vanno in fretta come a dimostrare quanto lunga fosse stata l’attesa.

Questa fretta appare in contrasto con la lentezza di Zaccaria ad uscire dal Tempio, lamentata dall’assemblea di Israele (cf. Lc 1,21). La mancanza di fede rallenta la visita di Dio.

La fretta esibisce, per contro, la fiducia nelle parole dell’Angelo, da parte dei pastori. Quando arrivano trovano una famiglia di poveri Ebrei, muti come il cielo stellato. E furono loro, i pastori, a dire che quella trinità di carne fosse il Volto del Cristo Signore, venuto dal cielo a salvarci. Furono essi a riconoscere ed annunciare le parole pronunciate dall’Angelo. I pastori diventano nuovi profeti, nuovi apostoli, ermeneuti di Dio. Di un Tempio che è sotto il cielo, di una parola che prende casa nell’ordinaria carne delle creature, di un annuncio universale di pace.

Maria stessa sembra essere illuminata dai pastori.

Sentendoli parlare di suo figlio come del Salvatore, anche lei, per la prima volta, avverte nella pelle di quel fagottino uscito dal suo grembo, il tepore del figlio di Dio. La vediamo meditare, gli occhi bassi e il corpo spossato. Ha appena partorito, ma già è cominciata in lei la vera gestazione: quella del cuore. Aveva “concepito nella carne” (1,31), ora deve “meditare nel suo cuore”.

Non basta averlo concepito nel ventre, non basta averlo messo al mondo, in aperta campagna in una notte piena di stelle, ma senza luna... occorre che il cuore raccolga quella fragile speranza e la traduca al mondo.

Ogni vita nasce dal cuore, compresa quella del Figlio di Dio. La lode di Dio sulla bocca dei pastori, ancora un’azione liturgica. Essi hanno “udito e visto”: hanno udito la parola dell’Angelo ed hanno visto il figlio di Dio, in quel figlio di Betlemme.

Il verbo della vita. Nei pastori agisce già la fede cristiana, essi hanno già fatto il passaggio verso il Dio incarnato. La loro lode troverà eco nel canto della comunità cristiana della Prima Lettera di Giovanni, che inizia, appunto, con un identico canto di gioia e lo stesso entusiasmo di annunciare ciò che è accaduto: Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena (1Gv 1,1-4).

I verbi della lode e dell’annuncio sono gli stessi: vedere/udire.

La Parola di Dio si è fatta visibile, è, letteralmente, “venuta alla luce”.

La luce acquista un valore metaforico per descrivere la comunione con Dio: essa è la luce che vince le tenebre della menzogna e dell’incoerenza: Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato (1Gv 1,5-7).

Restando svegli nelle tenebre della notte, i pastori ebbero modo di accogliere la “grande luce” della Gloria del Signore che li avvolse. Essa divenne pienezza, quando videro il bambino nella mangiatoria, che Maria aveva appena dato alla luce.

L'imposizione del nome. Anche per Gesù arriva l’ottavo giorno ed Egli viene circonciso. Come altri momenti della synkrisis (= il confronto, la messa in parallelo) in cui Luca colloca la storia di Gesù accanto a quella di Giovanni Battista (cf. Lc 1,59- 66), ci sono elementi identici ed anche differenze. Gesù viene chiamato col nome che l’Angelo Gabriele aveva detto a Maria e che l’Angelo dei pastori aveva confermato agli stessi. Un nome che ha una lunga spiegazione data dall’Angelo in quello che possiamo considerare un vero e proprio: “Annuncio ai pastori” (cf. Lc 2,8-19) e che converge proprio su di esso: egli sarà il Salvatore, il Cristo Signore.

La circoncisione, pertanto, non fa altro che formalizzare, attraverso il rito stabilito dalla Legge, il nome che l’Angelo aveva consegnato ai pastori.

Quel nome, pronunciato all’ottavo giorno, prelude però ad un altro rito che sarà di autentica veridicità: la Pasqua del Signore, il nuovo, ottavo giorno in cui Gesù sarà “udito e visto” come Salvatore, Cristo e Signore.

Osservando un altro elemento del parallelo della circoncisione di Giovanni e quella di Gesù possiamo stabilire quest’ultima significativa differenza tra i due racconti: il nome di Giovanni viene rivelato dall’Angelo Gabriele che dice a Zaccaria: “lo chiamerai Giovanni” (1,13), ma all’ottavo giorno, quel nome sarà prima voluto e pronunciato da Elisabetta; il nome di Gesù viene rivelato dall’Angelo Gabriele a Maria nella sua casa di Nazaret che – similmente a Zaccaria – riceve il compito di “chiamare” il bambino Gesù.

Nel racconto della circoncisione di Gesù troviamo una forma impersonale a soggetto della imposizione del nome: “gli fu messo nome Gesù”. Ma chi aveva “pronunciato” l’essenza di significato del Suo nome erano stati i pastori, i quali avevano “riferito ciò che del bambino era stato detto loro” (2,17), cioè che egli fosse il Salvatore e il Cristo Signore. Il nome di Gesù viene dal cielo, ma è la terra che veglia a pronunciarlo!

Figli per adozione. Nella seconda Lettura sarà Paolo a dare una veste celeste alla nascita di Gesù nel remoto giaciglio di un remoto villaggio della piccola provincia romana di Giudea: "Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. " (Gal 4,4-5) I Galati possono e debbono prendere atto del mutamento che la fede cui hanno aderito, che l’essere battezzati, che l’opera dello Spirito, ha prodotto in loro: sono diventati figli adottivi di Dio. La prospettiva è escatologica in una realtà̀ già̀ corrente: c’è un tempo che i cristiani non vivono più̀ perché́ vivono già̀ nella “pienezza del tempo” (to pléroma tou chrónou, v. 4). La pienezza fu data quando Dio inviò suo Figlio. La realtà̀ dell’essere figli non dipende più̀ da possibili o impossibili inclusioni nella discendenza di Abramo, secondo il metro della Legge, ma, essendo un dono di grazia, è esteso a tutti, Galati compresi.

Il “figlio” è “nato da donna, nato sotto la legge” (v. 4): la prima definizione descrive l’appartenenza alla stirpe umana, una concezione tipica del giudaismo dell’epoca – che giunge fino ad Einstein! – e che si accresce con la kenosi di Gesù̀ (non v’è accenno alla nascita di Gesù̀ da una vergine, cosa di cui Paolo non parla mai!); la seconda origine di Gesù̀ è quella della sua appartenenza al popolo ebraico: egli è nato non “sottomesso” alla legge, ma per riscattare quanti vi sono sottomessi.

Tutto ciò̀ perché́ noi avessimo “l’adozione a figli” (v. 5). L’esperienza dei cristiani è quella di vivere in un altro tipo di tempo e in un altro tipo di relazioni: nel passato eravamo schiavi, ora siamo liberi. Nel tempo del passato eravamo sottomessi agli elementi del mondo ed eravamo come dei minorenni (nepíois), senza la libertà, mentre ora abbiamo ricevuto l’adozione a figli (yiothesía, v. 5). Prima eravamo sottomessi alla legge, ora non più̀. "E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!. Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio." (Gal 4,6-7).

Nell’essere Figlio di Dio, invece, Gesù̀ innesta la nostra adozione a figli, che ci permette di chiamare Dio: “papà”. Una parola suggerita e resa effettiva dallo Spirito del suo Figlio che il Padre ci “inviò” (v. 6). Lo Spirito è ciò̀ che informa nel cristiano il suo nuovo “essere vivente”, la sua nuova umanità̀ redenta nel corpo risorto di Cristo. L’intimità̀ di questa nuova umanità̀ è espressa da questa parola di corrispondenza: Abbà. Vuol dire usare il linguaggio di Gesù̀ e sentire tutta la pregnanza della pasta divina di cui anche noi, come lui, siamo ora fatti: pasta d’amore che è grazia, adozione, misericordia, forma dalle sue mani. L’adozione trasforma non solo l’umano, ma anche Dio: nella rinuncia a una paternità̀ che lo rendeva “titolare” di figli, quindi origine e custode di una discendenza eletta ed esclusiva, Dio diventa padre adottivo: al servizio di figli di cui non è proprietario.

Una trasformazione resa possibile da una Donna! Madre dei cristiani e, prima ancora: “Madre di Dio”. Non la circoncisione, non la Legge ma è la “donna” che dà alla luce una “creatura nuova”.

Su tutti noi che siamo diventati “figli di Dio” è la dolcezza della benedizione di Aronne, l’augurio della pace, che la liturgia ci ha fatto invocare all’inizio, nella Prima Lettura: "Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace". (Nm 6,24-26)

Una preghiera che oggi la Chiesa invoca sul mondo e specialmente sulle terre straziate dalle guerre; su tutti i paesi che sono divenuti un deserto, il luogo dove quella “donna vestita di sole”, la Madre di Gesù è tornata ad abitare e che grida e chiama perché dev’essere nutrita dal cielo e soccorsa dalla terra (cf. Ap 12,1.14-16).

Da https://liturgico.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/8/2023/12/21/C-Maria-santissima-Madre-di-Dioi-1-Gennaio-2024.pdf