
Approfondire, aprile 2025 – a cura di Sr. Mara Borsi – La nonviolenza è una scelta di vita che invita a riscoprire i valori spirituali, culturali e sociali, ma anche a recuperare una cittadinanza attiva capace di esercitare un’influenza sociopolitica nella sfera pubblica. Il mondo sta vivendo una “crisi di civiltà” legata non solo al riarmo ma anche all’intolleranza di fronte alla migrazione, all’individualismo e al consumismo; si tratta di una perdita di valori etici e culturali.
Come comunità educanti FMA in questo momento storico siamo chiamati a denunciare e ad affermare che il riarmo non farà che accrescere la spirale della violenza e che con la violenza non si possono affrontare i conflitti in modo sostenibile o integrale; abbiamo la certezza e la responsabilità di prevenire conflitti violenti con mezzi nonviolenti, il primo tra questi è l’educazione. Papa Francesco più volte ha ricordato che «la guerra è sempre una sconfitta per l’umanità» e anche la sua morte non fa che metterci di fronte alle nostre responsabilità… non bastano le parole ci vogliano azioni concrete perché attraverso l’educazione vengano disarmate le parole, gli atteggiamenti e i comportamenti.
Sarebbe necessario e importante collegarsi, seguire e appoggiare le azioni di organizzazioni internazionali come Pax Christi. Troppo poco sappiamo e ci informiamo circa gli obiettivi perseguiti da queste organizzazioni di ispirazione cristiana. Pochi sono al corrente, ad esempio, che nel sud-ovest del Messico, in Chiapas, da dieci anni Pax Christi accompagna, il Centro Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) e il Servizio internazionale per la pace (Sipaz), nel lavoro di consolidamento delle capacità delle comunità indigene e contadine vittime dell’industria estrattiva (attività mineraria, agroindustria e fracking, estrazione di idrocarburi). Le conseguenze dell’estrattivismo sono inquinamento ambientale, danni alla salute e violenza contro le comunità. Pax Christi International ha elaborato una proposta metodologica per sette paesi della regione che, a partire dall’analisi del contesto e dei conflitti e dalla progettazione di piani comunitari di incidenza, ha permesso alle comunità coinvolte di trasformare in modo nonviolento i conflitti nelle loro relazioni quotidiane, comprese quelle riguardanti la parità di genere, di elaborare piani di tutela comunitaria di fronte ai rischi del contesto, che include attori armati illegali legati al crimine organizzato e alla violenza statale, e di incidere, in coordinamento con organizzazioni e reti locali e nazionali, sulle politiche pubbliche in difesa del territorio.
La necessità del disarmo
Disarmare le parole, le menti. Da dove si può iniziare? Generando spazi, fisici e virtuali, per il dialogo e il dibattito aperti sulla realtà che c’interpella, a livello sia locale, sia globale; promuovendo spazi dove nessuno dovrebbe vedersi costretto ad agire contro la propria coscienza e dove invece possa apportare i suoi doni per il bene della collettività; riconoscendo che esistono altre credenze e culture che meritano di essere conosciute e valorizzate e, in tal senso, promuovendo orizzonti di interculturalità per la difesa della vita, delle culture ancestrali, dell’alterità; custodendo quelle espressioni che, a partire da una eco-spiritualità, resistono in modo non violento a un modello che valuta i territori solo in base ai minerali critici che vi si possono estrarre, senza tener conto del presente e del futuro di quanti li abitano; decolonizzando le nostre menti e i nostri cuori, a partire dalla nostra fede che ci presenta un Dio buono, un Dio vero che vede l’oppressione del suo popolo e gli ridà dignità. Quando si parla di nonviolenza attiva, si intende promuovere l’azione collettiva e trasformatrice di questa realtà complessa.

Passare dalla teoria e dagli studi sulla pace e sulla nonviolenza all’azione concreta nei conflitti armati non è facile. La nonviolenza attiva promuove una conversione culturale che comporta la revisione di quelle azioni che danneggiano l’essere umano e il pianeta e, una volta diventati consapevoli di questo, l’inizio di un processo di riparazione — a livello personale, relazionale, culturale e strutturale — del danno fatto. Ciò implica il riconoscimento della dignità della controparte, che non è un nemico. A livello individuale, sentire, pensare, immaginare, sperimentare, rischiare, vivere la spiritualità con una forza trasformatrice; e, a livello collettivo, fare pressione, a partire dalla società civile e dai movimenti sociali organizzati, per ottenere cambiamenti duraturi, influenzando quanti prendono le decisioni; esercitare la cittadinanza attiva significa discernere e scegliere tra corruzione e onestà a favore del bene comune, alimentando in ciò che facciamo la speranza in un mondo migliore. Abbiamo bisogno di dis-armarci per ricostruirci come civiltà.
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